DIARIO TREVIGIANO
A cura di Franco Piol
Treviso Marathon, parte la 1.2
Aperte le iscrizioni all’edizione 2015, un premio ai primi 200. A novembre la “Corri in rosa” solidale
Sarà ancora Conegliano ad ospitare la partenza della Treviso Marathon. Anche per l’edizione 1.2 in programma domenica 1° marzo 2015, sarà la Città del Cima ad accogliere i maratoneti prima del via. Location confermata, con arco di partenza posizionato in viale XXVIII Aprile, solo alcune decine di metri più indietro, verso l’entrata dalla scuola enologica Cerletti (quest’anno era davanti alla chiesa di San Pio X). Dopo il passaggio nel centro storico coneglianese i maratoneti si inoltreranno nella campagna trevigiana, attraversando Santa Lucia di Piave, Susegana (Ponte delle Priula), Nervesa della Battaglia, Arcade, Povegliano, Villorba per arrivare infine a Treviso, entrando nelle mura da porta Fra’ Giocondo. Nel capoluogo i partecipanti alla 42,195 km percorreranno 2,2 chilometri, fino all’arrivo in viale Burchiellati (rispetto a quest’anno, alcune decine di metri indietro, verso piazza del Grano, per migliorare ancora la logistica).
«Tanti sono gli apprezzamenti ricevuti per il nuovo percorso che permette di conoscere un pezzo di provincia - commenta l’amministratore unico, Aldo Zanetti - abbiamo deciso di confermarlo anche per l’edizione 2015, apportando solo leggere modifiche per migliorare la già buona disposizione logistica. Crediamo molto nell’idea di una maratona che attraversi varie parti della nostra provincia, proprio per mostrare anche a chi arriva da lontano aspetti del nostro territorio spesso non conosciuti ma da valorizzare».
Dopo la conclusione della Treviso Marathon 1.1 il comitato organizzatore guidato dal presidente Lodovico Giustiniani e composto, oltre che da Zanetti, anche da Federico Capraro, Roberto Contento, Roberto Girotto, Francesco Piccin, ha investito molto sulla presenza diretta negli eventi podistici di tutta Europa. Importanti i gemellaggi che Treviso Marathon ha costituito con Wizz Air Skopje Marathon, in Macedonia, Marathon du Mont St-Michel in Francia e, quello recentissimo, con la Maratonina Salento d’Amare, in Puglia. Fino a domani lo staff della Treviso Marathon, sarà presente inoltre con uno stand all’Expo della Venicemarathon in parco San Giuliano di Mestre. Con l’occasione sarà anche presentato il vogatore firmato da H. Robert, sponsor tecnico confermatissimo anche per la prossima edizione. La maglietta smanicata, completamente made in Treviso (l’azienda ha sede a Povegliano e offre capi esclusivamente made in Italy) farà parte non solo del pacco gara della maratona, ma anche della Staffetta 3×14. Per i primi 200 che in questo weekend decideranno di iscriversi alla Treviso Marathon 1.2 in regalo un omaggio della Cantina Ponte di Ponte di Piave storico sponsor dell’evento trevigiano. Sarà possibile inoltre iscriversi alla prima Corri in rosa, la manifestazione nata in seno alla Maratona di Treviso per volontà di Valerie Delcourt. La corsa non competitiva di 5 e 10 km dedicata esclusivamente alle donne e organizzata per raccogliere fondi da devolvere per la lotta contro il tumore al seno (attraverso l’associazione Fiorot di San Vendemiano) è in programma a San Vendemiano domenica 23 novembre 2014, con start alle 10 davanti al municipio.
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Scorciatoie per lo sport, salute a rischio
Medici, dirigenti e atleti lanciano l’allarme: «Gli steroidi causano tumori, pericolo trombosi per chi assume eritropoietina»
di Mattia Toffoletto
L’aiuto della chimica per vincere in età adulta una granfondo ciclistica o primeggiare in una prova Master di nuoto. Quando non sono in palio medaglie olimpiche o mondiali. Si ascolta il suggerimento dell’amico, si acquista la sostanza in Internet e la si assume senza badare ai possibili effetti collaterali o alle conseguenze a lungo termine. È il doping degli amatori, il doping fai-da-te. Un desolante fenomeno che non ha risparmiato gli sportivi trevigiani. Tre casi negli ultimi mesi: ultima in ordine di tempo, la positività del nuotatore montebellunese Igor Piovesan, pizzicato alla Coppa Sachner Master, disputata in settembre a Laigueglia. In precedenza, era toccato al cicloamatore Sauro Bembo, beccato per il norandrosterone. Diverso il caso di Lorenzo Cester, tiro alla fune: un diuretico per l’ipertensione. Nel mese scorso, aveva fatto rumore il presunto giro di prodotti illeciti della palestra Armstrong (Villorba). Una piaga che non sembra arrestarsi. Specie negli ambienti, quelli amatoriali, dove i controlli sono più rari. «Purtroppo il doping esiste da sempre e non ne verremo mai fuori», commenta sconsolato Fulvio Susanna, medico dello sport, «Occorre intervenire nelle scuole, spiegare che la sconfitta esiste e può aiutare a crescere, che la ricerca della scorciatoia è la negazione dello sport. Bisogna far leva sugli allenatori e sulle famiglie, sperando che le generazioni future possano far propri altri valori. Continuiamo, intanto, a restare fermi: mancano i fondi, manca una politica aggressiva e coordinata. Serve un cambio di passo da parte del Coni e della Federazione medici sportivi». Partire dalle scuole per impedire alla malapianta di attecchire anche a 40-50 anni: «Ma occorre portare avanti una seria lotta al doping. Il Coni dovrebbe volerlo combattere veramente. Oggi invece i controlli sono sporadici e a livello amatoriale praticamente non esistono. Il caso Schwazer, ad esempio, alimenta tanti interrogativi». E chi ricorre alle scorciatoie solitamente non è al corrente dei possibili effetti sul proprio corpo: «Non si conoscono i rischi, domina l’ignoranza. L’utilizzo di steroidi provoca tumori alla prostata e al fegato, l’Epo e i suoi derivati causano trombosi». Oddone Tubia, presidente provinciale Fidal, conosce l’ambiente amatoriale: «Credo il nostro mondo dei Master non sia esente da situazioni negative», ammette, «E poi c’è quel confine, troppo spesso labile, fra integratore e doping. Intendo gli aminoacidi, la creatina: un conto è il normale utilizzo, un altro l’abuso. Doparsi per fare sport in età adulta è una contraddizione vera e propria: si dovrebbe praticarlo per stare bene e non per arrecare danno alla propria salute. Usare farmaci normalmente prescritti alle persone malate è un’assurdità. Alla base c’è un problema culturale: il doping nasconde le difficoltà del soggetto, è segno di squilibrio». Tubia è spietato: «Dopo la prima positività dovrebbe scattare la radiazione». Il cicloamatore Gianmarco Agostini, 43 anni, chiosa: «Chi si dopa appartiene alla categoria dei bari. C’è chi bara nello sport, chi in altri settori. È un modo distorto di interpretare la vita. È il voler vincere a tutti i costi, la società dell’apparire».
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«Non riescono ad accettare i propri limiti»
Gli psicologi spiegano l’uso dei medicinali per le prestazioni: «Si teme il fallimento della performance»
L’incapacità di accettare i propri limiti e l’ossessione di trovare il modo di fare sempre di più e meglio, andando contro natura. Il doping torna alla ribalta delle cronache e così, si aggiorna la lista degli atleti che sono risultati “positivi” al test. Anabolizzanti, steroidi, testosterone, una giungla di sostanze, il doping si trova tra i professionisti ma, sempre più di frequente, anche tra gli amatori. Soffermandosi su questi ultimi, il dato è preoccupante. Stando al rapporto 2013 della Commissione di Vigilanza del ministero della Salute il 3% degli sportivi della domenica usa sostanze e un buon 70% farebbe ricorso a qualche farmaco, soprattutto antinfiammatori. «Spiegare il perché di questo fenomeno è complesso» evidenzia la psicologa Nicoletta Regonati, «entrano in gioco questioni personali, sociali e pressioni legate alla propria immagine. Forse si può ricondurre il tutto a una duplice difficoltà, si prende il doping perché non si riesce ad accettare i proprio limiti e si ha paura ad affrontare l’idea di un fallimento agli occhi degli altri. Si teme il giudizio». Una mancanza che si traduce nella dipendenza da qualcosa di esterno e dannoso, continua Regonati: «Così facendo si dà valore all’apparenza e poco alle emozioni e ai sentimenti, una scelta che fa perdere la relazione con se stessi prima di tutto e poi con gli altri».
Questione di cultura più che di informazione, visto che di doping si parla molto e si fanno vere e proprie campagne di sensibilizzazione e denuncia dei danni che può provocare, secondo Tito Boccaletto, psicologo e psicoterapeuta trevigiano. «Il fatto che il doping faccia male è risaputo, ma questa nozione perde di peso se la si rapporta a una scala di valori che ne normalizza a priori l’uso, anche tra gli sportivi della domenica». All’origine di questa educazione sbagliata, ci sono gli ambienti educativi frequentati dallo sportivo, la famiglia, la squadra e infine il gruppo con cui si va a fare la corsa in bici nel weekend, la maratona o qualche altro sport, continua Boccaletto: «Già in età scolare e forse anche prima si creano i presupposti per cui il sistema di valori fa diventare tollerabile e addirittura giusto assumere una sostanza che ti faccia superare la performance personale e reggere il confronto con le altre persone. La contrapposizione con l’avversario diventa una sfida».
Valentina Calzavara
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