DIARIO TREVIGIANO
A cura di Franco Piol
da “La Tribuna di Treviso”
Sara, la baby-saltatrice che spaventa le grandi
Oro nella categoria cadetti a Modena per la portacolori (e figlia d’arte) del Mogliano
Quando deve salire sul podio è sempre la più piccola. Domenica ha trionfato al meeting interregionale di Modena, saltando 1.60. Ma vanta un personale di 1.66 ed è alta appena 1.62: cioè un differenziale di 4 centimetri, al cospetto di avversarie magari di 1.80. Facendo le debite proporzioni, una baby «Antonietta Di Martino», diventata saltatrice di livello internazionale e recente argento iridato indoor, malgrado un’altezza non eccelsa. E tenendo conto dell’età, 15 anni compiuti in gennaio e quindi ancora in pieno sviluppo, ha tutte le carte in regola per essere considerata l’enfant prodige veneta del salto in alto. Lei si chiama Sara Brunato, risiede a Mogliano ed è nata del ‘97. Gareggia per l’Atletica Mogliano, fucina di talenti: basti pensare a Giulia Viola o Beatrice Mazzer. Sara è figlia d’arte: mamma Barbara Norello, già campionessa italiana e nazionale azzurra di salto in lungo, all’epoca di Sara Simeoni e Pietro Mennea, è anche la sua allenatrice. «Prima facevo danza, ho iniziato per gioco in quinta elementare, poi è diventato qualcosa di più serio», rivela la cadetta. Il primato di 1.66 risale a due stagioni fa, secondo anno ragazza. Nel 2011, è giunta 4ª ai tricolori. Nell’ultima gara a Modena, prova indoor per rappresentative, ha valicato l’asticella più in alto di tutte. «Una grandissima emozione - racconta - Prima il silenzio e poi quella sensazione unica per cui ti sembra di volare». Non disdegna lungo, ostacoli o pentathlon. Ma è dell’alto che si è innamorata: «Mi piace tanto e spero di farmi strada nei prossimi anni, se l’altezza me lo permetterà… Se mi ispiro a qualcuna? Seguo di sicuro Blanka Vlasic, ma le sue gambe sono lunghissime… Ecco, magari mi avvicino un po’ alla Di Martino». (ma. to.)
Quella «furbetta» di Lady Marathon: caccia alla podista sleale
Sul web la rabbia degli atleti che chiedono la radiazione dalle gare per la trevigiana che si è fatta trasportare in moto
C’è chi l’avrebbe vista salire su uno scooter per «accorciare» percorso e tempo della Treviso Marathon 2012. C’è chi giura di averla fotografata con il cellulare nell’istante stesso in cui mandava a quel paese i principii di lealtà e probità sportiva.
C’è chi, sulla rete, ha scatenato il putiferio lanciando una petizione per radiarla dalle corse. Chi, invece, lancia appelli «a chi sa, ma tace». Perchè, se costoro non parlassero, farebbero pure questi saltare i cardini della disciplina sportiva.
Ma di quale accusa deve rispondere «Lady Maratona»?
La denuncia è contenuta nelle poche righe che un concorrente della Treviso Marathon ha inviato ai giudici di gara.
«L’atleta si è fatta trasportare in motorino per 5-10 chilometri, pensavo si fosse ritirata e invece l’ho incontrata negli ultimi chilometri di gara», ha scritto a caldo un maratoneta, questo sì, che se l’è fatta tutta la gara a sudore e lacrime.
Il ricorso ai giudici di gara risale al giorno stesso della maratona ovvero il 4 marzo scorso.
Di «Lady Maratona» si conosce l’identità (è trevigiana), il numero di pettorale (è giovane, qualcuno maligna che sia anche piuttosto caruccia), la società di appartenenza (ma in questo caso non ci sarebbe colpa oggettiva)…e pure il tempo impiegato per percorrere il tratto che collega Vittorio Veneto con il centro di Treviso.
Secondo gli impulsi inviati dal suo microchip alle centraline elettroniche installate sui passaggi obbligati del percorso: «i tempi sono coerenti, ha tutti i rilevamenti, la media è costante per cui non ci sono gli estremi per una eventuale squalifica».
«Non avendo documentazione che provi quest’accusa, per noi la corsa dell’atleta è regolare», fanno sapere dell’organizzazione. Insomma, manca la prova regina.
Questo il motivo della rabbia sfociata nella rete dove si stanno moltiplicando i forum di discussione sulle sanzioni da adottare. E dove si ripetono le invocazioni, a chi sa, di parlare. O, meglio, a produrre le prove.
Del resto non furono meno feroci le polemiche che investirono l’allora presidente del consiglio Romano Prodi alla maratona di Reggio Emilia nel 2005. Decine di persone giurarono e spergiurarono di averlo visto salire su un’auto (dei carabinieri? dei servizi segreti?) prima di arrivare al traguardo. Stanco e con un tempo ragguardevole per la sua età e per il suo fisico. Decine di persone giurarono, piuttosto, di aver corso a fianco del presidente per tutta la gara.
Per dire che la passione, nella maratona, è proporzionale allo sforzo richiesto. E che dire, invece, di quel maratoneta che, sempre alla Treviso 2012, ha corso con il pettorale fotocopiato di un altro (vero) concorrente e beccato dall’infallibile occhio fotografico. Lo stesso che ha pizzicato un paio di «portoghesi» sul percorso con il pettorale della scorsa edizione: iscrizione e ristori gratis. Invisibili per il timing.
«Ho barato, in bicicletta» Lady Marathon è fuori
Squalificata la podista sleale della 42 chilometri denunciata da un concorrente Ha confessato agli amici.
Sul web si era scatenato un cancan mediatico
In sella a una bicicletta. Come in uno sgangherato thriller kitsch. Così Lady Marathon ha beffato giudici e compagni di sudore alla 42 chilometri della Marca.
«Ho percorso alcuni tratti in bicicletta, non in scooter» ha confessato la concorrente sleale.
Pizzicata da un maratoneta che l’aveva prima vista sfilarsi dalla gara per poi trovarsela davanti al traguardo. Bella e pimpante.
Lady Marathon ammette la sua mancata lealtà e gli organizzatori della Treviso Marathon la squalificano. Giustizia è fatta.
Tutto si consuma il 4 marzo scorso, quando da Vittorio Veneto si muove il lungo serpentone dei tremila atleti che partecipano alla maratona.
L’obiettivo è quello di raggiungere il centro di Treviso, entro poco di due ore per chi ambisce al podio. In un tempo compatibile con la volontà e le forze fisiche per tutti gli altri.
Che intendono misurare i propri limiti e mettersi in discussione. A tutti è chiesto un atteggiamento decoubertiano.
Ovvero conforme ai principii della lealtà, della probità e della rettitudine sportiva.
Per Lady Marathon non è così. Ha altre aspirazioni e misere vendette da consumare.
Giovane, carina, sposata e madre di un bimbo, abita nella Pedemontana e milita in una blasonata società sportiva.
Insomma una di quelle che non passano del tutto inosservate. Come è accaduto a una decina di chilometri dal via, quando un concorrente la vede uscire dal tracciato e salire su un… mezzo. «Si ritira», pensa il maratoneta che la segue.
Ma, al limite dello sfinimento, lo stesso atleta se la vede ricomparire davanti a pochi chilometri dal traguardo. Passo disinvolto, portamento da miss, fiato da vendere. Il tempo di tagliare il traguardo e subito il maratoneta che si sente beffato presenta un ricorso ai giudici di gara.
«L’ho vista salire su una moto, non è giusto», denuncia.
E sulla rete si scatena il pandemonio. Blog, siti specializzati, forum su facebook: in centinaia a chiedere l’intervento del giudice sportivo. Chi addirittura lancia una petizione per chiederne la radiazione dalle gare di fondo.
Tutto questo cancan si è spento con una candida confessione: «Non ho barato con la moto, ma con la bici»! Ed è scattata la squalifica.
di Giuliano Doro