Febbraio 15th, 2013

DIARIO TREVIGIANO

A cura di Franco Piol

 

 

Da “Queen Atletica”

Il provincialismo dei campionati italiani assoluti

 

A forza di dover consentire all’attuale mandato di ottenere il dovuto tempo per ristrutturare l’atletica italiana, non ci si accorge che intanto la stagione invernale (delle quattro a disposizione) è stata già masticata e digerita senza che sia avvenuto nessuna sostanziale rivoluzione. Lo ripeto come un mantra: l’atletica italiana non sono solo una 70 o 80 atleti o quanto diavolo sono, da proteggere come gli Orsi del Kispios, ma 170.000 tesserati che hanno delle esigenze che, almeno fino ad oggi, sono state completamente dimenticate. Aspettiamo? E aspettiamo, non possiamo fare altro del resto. Uno dei problemi contro cui più mi ero battuto apertamente ed aspramente contro la passata “legislatura” mi era parsa l’assoluta provincialità con cui erano organizzati i campionati italiani assoluti, ovvero la massima manifestazione territoriale dell’atletica italiana. A Torino si raggiunse il minimo storico, con serie di mezzofondo con 4/5 partecipanti, finali dirette, atleti che avevano bellamente saltato il Campionato Italiano. Va bene che contano solo le medaglie internazionali secondo un consolidato pensiero che ormai ha attecchito come la gramigna, ma un’occhiatina ogni tanto alla base, servirebbe anche come forma di investimento futuro, no?

No, stesso errore, almeno fino ad oggi. I minimi di partecipazione delle diverse categorie praticamente non sono stati toccati (stessa cosa dicasi per i minimi outdoor… andati pure quelli) e ancor meno l’organizzazione dei campionati italiani, che presentano delle pecche da campionato provinciale. Pensavo, ingenuamente, che sarebbe stato finalmente il tempo di “allargare” le maglie della partecipazione alle massime manifestazioni nazionali, giusto per dare più spessore, per riempire le corsie desolatamente vuote o per non vedere gare a cronometro nelle gare di mezzofondo. Ad oggi, rilevo, non c’è stato nulla di rivoluzionario, a parte, ripeto, l’atteggiamento verso quegli 80-90 atleti d’élite e i loro coach che ora godono di un trattamento di “serendipity” e vicinanza psicologica sicuramente ben confacente all’ottenimento delle prestazioni. Ben venga, per carità: cosa lodevole.

Vorrei capire una cosa, però: ma quanto interessano i campionati italiani assoluti a Giomi & C.? Partiamo da alcune considerazioni: le gare di sprint e ostacoli ai campionati italiani prevedono (andate a guardarvi gli orari di Ancona) addirittura 3 turni in un giorno. E questa strutturazione delle gare dovrebbe favorire lo spettacolo? Batterie, semifinali e finale nello stesso giorno sembra davvero una pazzia nello sprint e ostacoli, anche perchè in pochissimi partecipano a due specialità (forse solo Dal Molin) e non c’era assolutamente la necessità di compattare in questo modo il programma in una sola giornata. Non ci sono nemmeno i 200 nel programma (strano, poi: molti paesi li inseriscono nel programma dei campionati nazionali indoor per dare più opportunità ai propri atleti di vincere un titolo) quindi i doppiaggi di gare sono ridotti al lumicino. Detto in parole povere: invece di mettere gli atleti nelle condizioni di poter ottenere le loro migliori prestazioni, li si mette nelle condizioni di spremersi in poche ore in 3 sprint devastanti. Due turni in un giorno e la finale nel secondo, no? Troppo semplice?

Altra cosa, di segno completamente opposto: gli 800 e i 1500: possibile che ce la si debba giocare ancora con la formula a serie, senza una finale definitiva? Possibile che gli atleti e le atlete debbano farsi la gara pensando che la serie precedente ha corso in tot e quindi, oltre che la strategia per la vittoria di serie (per il titolo italiano) debbano anche pensare a correre veloci stravolgendo il senso agonistico proprio della ricerca della conquista di un titolo? Ma non stiamo parlando di un campionato italiano? Mi sembra che non si sia ancora ai “master” dove evidenti esigenze di numero imporrebbero scelte del genere.

L’errore di fondo, secondo me, sta nella necessità (chissà imposta da chi) di compattare il programma in 2 giorni (come il programma all’aperto, del resto) anzichè di un più arieggiato 3 giorni. Problemi di copertura televisiva? Vabbè, ma il primo giorno si facciano le batterie e i turni di qualificazione (e chi se ne frega se non c’è la copertura televisiva) e nei seguenti giorni si facciano le finali. Ritengo che chi faccia atletica ad alto livello, non possa nè debba lamentarsi se poi il problema sia il “venerdì” di gare. Gli atleti militari, la stragrande maggioranza, lo fanno per lavoro (quindi lì ci dovrebbero essere anche tutta la settimana) e gli altri, visto che per raggiungere determinati livelli bisogna farsi il mazzo e dedicarci un sacco di tempo, non penso avrebbero difficoltà ad organizzarsi per un venerdì di gara nell’arco di un anno…

Se davvero questo fosse l’ostacolo, saremmo davvero davanti ad un’atletica provincializzata, con tutto che molte delle persone che girano intorno all’atletica non sono nè professionisti, nè similia. Ma bisogna fare scelte: o si pensa ad un’atletica che dia spettacolo, ovvero in cui gli atleti possano davvero rendere il massimo sia cronometricamente (nello sprint, grazie a diluizione delle prove nelle giornate) che agonisticamente (con l’introduzione delle batterie nel mezzofondo), o un’atletica da catena di montaggio, dove quello che conta è arrivare alla domenica sera e poter dire: “anche questa è fatta“, che poi è il ragionamento di molti dirigenti federali a qualunque livello… cioè, non conta la qualità dell’organizzazione, ma solo la quantità e la parola “fine” ad ogni manifestazione.

Ora, il primo anno è praticamente già andato, visto che i minimi sono stati già stabiliti. Mi chiedo in che campi adesso verranno fatte queste migliorie rivoluzionarie al “sistema atletica” nell’arco dell’anno, che riguardino (ribadisco) non solo il gruppo apicale degli atleti più performanti (dovuto), ma di una quota sempre maggiore di atleti che, pur pagando il tesseramento e tutto l’indotto, non ottengono assolutamente nulla nonostante rappresentino il 99% dei tesserati.

Articolo pubblicato da: Andycop - il: 13/02/2013 alle 22:41

 

Ancora sui Campionati Italiani Assoluti… provinciali: il salto in alto

Posto la mail di Francesco Arduini

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(nella foto di Andrea Bruschettini), che segue il mio articolo di ieri e che è davvero lapalissiana sulle contraddizioni della specialità dell’alto ai prossimi campionati italiani.

Dopo aver letto il tuo articolo sul “provincialismo dei campionati italiani assoluti” mi sono sentito un po’ coinvolto e mi è venuta voglia di scriverti 2 righe. Ormai di anni ne ho 38 e vado per i 39, ma fortunatamente per me salto forse ancora più di quando ero giovane (per quanto mi è possibile). Non faccio parte di quella schiera di atleti di “elite” che lo fa di professione ma mi ritaglio i miei spazi DURAMENTE giorno dopo giorno per mantenere “dignitose” prestazioni… che comunque non mi permettono neanche lontanamente di partecipare alla massima rassegna indoor italiana. Quello che non ho mai capito dell’organizzazione dei campionati italiani assoluti indoor è la logica con cui sono organizzati. Faccio un esempio nello specifico perchè la mia specialità differisce dalle corse. Una corsa ha un orario, l’atleta si riscalda e all’ora prestabilita cerca la prestazione. Una gara di salto in alto (o asta) può durare 1 ora come 3 o 4 ore a seconda del numero di partecipanti, numero di salti o di errori, ecc… Fatta questa premessa, considero i fatti. Minimo del salto in alto 2.12 e potrei essere anche in accordo nel momento in cui si voglia organizzare una gara di alto livello riservata ai saltatori Top, una gara in cui conta solo l’ottenimento della massima prestazione, in cui non si perde tempo alle basse misure, i tempi di attesa sono ridotti e viene permesso a chi deve arrivare alle massime prestazioni di dare il meglio nei tempi giusti. A guardare le liste sarebbe una gara a 15… MA se si volesse perseguire questa logica il minimo andrebbe portato a 2.17-2.18 per limitare i partecipanti a 8-10 persone al massimo perché comunque 15 sono troppi!! E quindi incontro la prima contraddizione… Ma la federazione ha guardato bene di inserire all’interno dei Campionati Assoluti anche quelli Promesse, il minimo di categoria scende a 2.03 e allarga il numero di partecipanti a 23. Come se non bastasse, non si può pensare di avere una progressione secca a vantaggio di chi salta alto, altrimenti tanto valeva lasciare a casa quelli che al minimo ci sono arrivati “al pelo”… (ci pensate un atleta che vanta 2.03 di personale che si trova una progressione del tipo 2.05-2.10-ecc…) ma non si può nemmeno fare una progressione che avvantaggi questi ultimi perché altrimenti la gara durerebbe 10 ore e chi lotta per vincere si troverebbe molto svantaggiato… Inoltre (e qui arriva il mio disappunto) c’è gente come me che resta in tribuna a guardare partecipanti che, sulla carta, valgono meno di quello che valgo io.

A questo punto tanto valeva allargare la partecipazione e fare le qualificazioni il Venerdì per consentire una finale a 8… ma poi come si sarebbe fatto ad assegnare il titolo Promesse? Insomma più ci ragiono e più non riesco a capire la logica complessa di chi ha pianificato una gara che, sulla carta, non accontenta nessuno… e non mi vengano a dire che è stato fatto così in modo da permettere ai giovani di cimentarsi con gli atleti Top. Tamberi è promessa, quindi ai campionati di categoria avrebbe potuto in ogni caso dare il suo contributo di “confronto” ai più giovani. Nel caso invece in cui si sia voluto rinfoltire un po’ gli schieramenti della gara, perché allargare il numero di partecipanti basandosi solo sull’età e non sulla prestazione che, a quanto ricordo, dovrebbe essere l’unico vero metro di paragone oggettivo per tutti?? Francesco Arduini

Articolo pubblicato da: Andycop - il: 14/02/2013 alle 15:58

 

 

 

Carmelo Rado al 5° record master dell’anno nel peso

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Come al solito reperire i risultati delle gare venete “minori” rappresenta una vera e propria impresa, di conseguenza mi appoggio a quanto apparso sia sul sito della Fidal Veneto, grazie alla penna di Rosa Marchi, che su Atleticanet. Ebbene, è caduto anche il quinto record master di questo avvio pirotecnico del 2013. Del resto, che il mondo master sia in continua ed esponenziale miglioramento tecnico lo dimostra un dato: negli ultimi due anni sono stati migliorati complessivamente… oltre 500 primati italiani nelle 26 categorie da cui è composto questo variegato mondo sportivo. L’ultimo, appunto, registrato è quello di uno dei più rappresentativi atleti del mondo master azzurro, ovvero Carmelo Rado, divenuto proprio quest’anno M80. Carmelo Rado fa parte anche di quella vasta schiera di atleti ex-azzurri (assoluti, eh) che ha deciso di sposare il mondo master… o meglio, che non si è fatto frenare da stupide prese di posizioni sull’opportunità di fare atletica agonistica in età matura: si vive solo una volta, e pensare di non poter fare ciò che si è amato di più per la sola paura di non essere all’altezza del proprio blasone, sembra essere… triste. Comunque, parlavamo di Rado… ebbene, stando all’annuario della Fidal il veneto vanta 21 caps azzurri assoluti (che in realtà sono “convocazioni” e non già “maglie azzurre” che molto probabilmente saranno di più, considerato l’astruso metodo di calcolo utilizzato dalla Federazione). L’Olimpiade di Roma 1960 (dove arrivò settimo) ed un Campionato Europeo all’attivo (8° a Belgrado ‘62). Catapultato nei nostri giorni, Carmelo Rado ha riscritto buona parte della storia dei lanci master, in tutte le categorie in cui è transitato: quello ottenuto a Schio nella giornata di sabato, rappresenta infatti il suo 25° record italiano master in vigore. 12,42** il lancio del nuovo record, ovvero quasi due metri oltre il precedente record di Philip Lalic, lanciato nel 2008 ad Ancona (10,53). E adesso inizierà (anzi, continuerà) la sua lunga sequela di nuovi record nella sua nuova categoria.

Articolo pubblicato da: Andycop - il: 14/01/2013 alle 23:31

**Migliorato con 12,65 a Schio il 26 gennaio (ndr)

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Carmelo Rado da giovane!